mercoledì 11 gennaio 2012

Misunderstanding

Non sommate, significa altro...
Se non sbaglio era l’estate del 2002. Ero in Croazia, e dividevo una casetta con Alex, Michele ed altri amici. Durante le dolci notti dall’altra parte dell’Adriatico, si frequentava spesso un baretto in una strada secondaria della piazza principale di Dubrovnik. Avevamo fatto anche conoscenza con il barista, che era davvero simpatico.
La simpatia di un barista è direttamente proporzionale al numero di volte che non ti lascia  pagare. In una scala da 0 a 10, Mario, questo è il nome del barista croato, era simpatico almeno 7.
Una notte, come al solito occupando gli sgabelli intorno al bancone, vedendo i bicchieri tristemente vuoti, ordinai da bere. Tesi la mano verso Mario, mettendo bene in vista il pollice, l’indice e il medio. “Three beers, please”.
Dopo pochi minuti, vedendo che la mia richiesta non era stata neanche vagliata, ripetetti l’ordinazione. Tesi la mano verso Mario, mettendo bene in vista il pollice, l’indice e il medio. “Three beers, please”.
Anziché placare la nostra sete Mario, a quel punto, con la splendida cordialità balcanica, e con quella calma “zen” che lascia presagire lo scoppio di una imminente tempesta, si avvicinò e mi spiegò che se avessi fatto nuovamente quel gesto non avrei mai avuto da bere e sarei stato gentilmente pregato di uscire dal locale. Gentilmente.
Cosa avevo fatto di così grave? Non lo capivo. Avevo solo chiesto tre birre. Mi venne spiegato che in Croazia,  e per di più, in una zona molto vicina alla Bosnia, a pochi anni dalla guerra, tre birre non si sarebbero dovute assolutamente ordinare in quel modo. Usando quelle tre dita. Usando quelle tre dita in quel modo, proprio come avrebbe fatto un serbo che fa il “saluto cetnico”, indicando dio, patria e zar. Robe da nazionalisti nostalgici, che però hanno causato un sacco di morti e tanta sofferenza.
Così come quel lontano giorno dell’estate 2002, anche lo scorso lunedì un mio gesto non è stato capito. O meglio è stato codificato in maniera insolita.
Ero all’ultima partita della serata, ed avevo precedentemente perso le tre partite che avevo disputato.
Di fronte a me c’era Massimo che sistemava le sue miniature in campo. Il suo Torino contro la mia Fiorentina con i pantaloncini neri.
L’unica cosa da fare prima del fischio di inizio era il sorteggio per stabilire chi avesse diritto al calcio di inizio. Quindi prendo la pallina, la nascondo dietro la schiena e poi mostro i due pugni chiusi tenendo le braccia perpendicolari al mio busto.
Il principio alla base di questo sorteggio è indovinare in quale mano si nasconde la pallina.
Se si indovina si ha diritto al calcio di inizio. Sennò lo spetta a  chi ha fatto il sorteggio.
Semplice, giusto? Impossibile sbagliare.
Ebbene, il buon Massimo, il quale doveva solo indovinare in quale mano nascondevo il Tango, incomprensibilmente, con l’indice ben teso alla punta del suo braccio da un metro, punta al mio viso.
Non vi nascondo che sono seguiti un paio di secondi in cui ero incredulo. Panico. Poi Massimo si ravvede e scoppiamo in una grossa risata.
In fondo erano le 23, 30 e avevamo alle spalle già tre partite.


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